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Ciao, mi chiamo Isabella, ho 27 anni, vengo da Firenze e vivo in Corea del Sud da due anni e mezzo. Che ci faccio in Corea del Sud? Beh, certe volte me lo chiedo anch’io... E pensare che è partito tutto dalla musica!
No, non sono una musicista e nemmeno una cantante, anche se qualche anno fa mi dilettavo a cantare, ma poi ho capito che non era la mia strada. Quindi: come ci sono finita in Corea grazie alla musica? Tutta colpa di YouTube e di un’amica che, appassionata di Oriente, continuava ad inviarmi video musicali di un gruppo sudcoreano sconosciuto al mondo (così credevo all’epoca) il cui nome era tutto un programma: Super Junior. Le mie prime impressioni furono decisamente negative, a partire dal nome, che trovavo abbastanza ridicolo, e dalla lingua in cui cantavano (il coreano), totalmente sconosciuta e così poco orecchiabile. L’ultima cosa che mi colpì in modo negativo fu il concept di questo gruppo, molto alla Backstreet Boys (vi ricordo che sono della generazione anni ‘90) e non a caso il mio primo commento fu: «E chi sono questi? I Backstreet Boys dell’Asia?». Chi l’avrebbe detto che da lì a poco tempo questi ragazzi avrebbero completamente sconvolto la mia vita.
Iniziai, per gioco, ad ascoltare la musica dei Super Junior e a guardare i loro video su YouTube, ma sappiamo tutti che YouTube è infame... Lo apri per vedere dei video carini di gattini e dopo un’oretta ti ritrovi a guardare la lista dei 10 serial killer più spietati d’America, senza sapere nemmeno tu come ci sei finito. Mi è successa più o meno la stessa cosa con il k-pop: guardavo un video dei Super Junior e YouTube mi suggeriva altri tre video di altri tre gruppi k-pop. Poi, come se non bastasse, mi suggeriva video riguardanti drama (serie televisive coreane) con protagonista un membro del gruppo del video che stavo guardando esattamente un minuto prima e via così fino a riuscire ad avere una bella fetta di cultura k-poppiana in circa sei mesi. Era il 2011. Quello stesso anno andai al primo concerto k-pop in Europa, esattamente a Parigi, a dieci giorni dal mio esame di maturità e primo viaggio all’estero senza genitori. Per la prima volta vidi i miei idoli, i Super Junior, ma anche altri gruppi k-pop, perché quello era un concerto organizzato dalla casa discografica, che oltre ad avere i Super Junior sotto la sua ala, aveva (ed ha tutt’ora) molti altri gruppi k-pop molto famosi. Da lì in poi non mi sono più fermata. Tornai a Parigi l’anno successivo, questa volta i Super Junior tenevano un concerto tutto loro e non potevo perdermelo. In quell’occasione, infatti, ho vissuto una delle esperienze più belle della vita, ovvero salire sul palco con tutti i membri del gruppo, ma, soprattutto, essere scelta fra la folla (8000 persone) ed essere portata sul palco, mano nella mano, dal il mio idolo, il membro del gruppo che preferivo in assoluto e preferisco anche adesso: Siwon. Dopodiché, sempre in quell’anno, andai a Londra per vedere dal vivo una band, un po’ più rockeggiante dei Super Junior, i CNBLUE.
La mia sete di k-pop e Corea non aveva fine, gestivo pagine Facebook, organizzavo eventi a Firenze e in Toscana, traducevo i sottotitoli dei drama coreani dall’inglese all’italiano, lavoravo come volontaria in veste di traduttrice in eventi che riguardavo la Corea e l’Asia. Tutto girava intorno a questa mia passione. La vita vera, ovviamente, ci metteva lo zampino, e non era tutto rose e fiori: non trovavo lavoro o trovavo lavori precari, ma il k-pop e tutte queste attività riuscivano a tenermi impegnata, a non farmi cadere nella depressione più totale, finché nel 2013 riuscii a fare il mio primo viaggio in Corea. Tante emozioni mi colpirono in pieno stomaco la prima volta che vidi Seoul dalla finestrona dell’appartamento che io e le mie amiche avevamo affittato al sedicesimo piano: paura, eccitazione, voglia di tornare subito in Italia, impazienza di vedere tutto ciò che fino ad allora avevo visto solo attraverso lo schermo di un computer. Quell’avventura durò due mesi. Avevo 22 anni. Tornai a casa felice del fatto che la Corea, anzi Seoul, non avesse abbattuto tutti i castelli di carta che mi ero costruita nella testa, ma anzi aveva superato di molto tutte le aspettative che avevo. Adesso, quindi, il mio obiettivo era quello di tornarci, perché ne sentivo il richiamo, ne sentivo il bisogno.
Dopo due lunghissimi anni di lavori precari, sfiancanti e mal pagati, riuscii a tornarci di nuovo. Era il 2015. Questa avventura durò un mese, un mese che mi fece capire tante cose. Avevo 24 anni.
Se esiste il mal d’Africa allora esiste sicuramente anche il mal d’Asia o forse, nel mio caso, il mal di Corea. Rientrai a Firenze con una convinzione: dovevo tornare a Seoul a tutti i costi, ma se non avessi trovato un lavoro fisso in Italia entro la fine dell’anno, lo avrei fatto più seriamente, come studentessa anziché da turista; volevo studiare la lingua coreana. 2 Agosto 2016. Avevo 25 anni ed ero su un volo per la Corea. Sarei stata lontana da casa per due anni. La vita vera, però, ci ha messo lo zampino un’altra volta e sicuramente rimarrò qui un po’ di più. Ciao, mi chiamo Isabella, ho 27 anni, vengo da Firenze e vivo in Corea del Sud da due anni e mezzo. Sono sposata con un ragazzo coreano e non ho ancora smesso di ascoltare i Super Junior dopo quasi dieci anni. La musica mi ha portata fino a qui. È incredibile come una canzone, un cantante, un musicista o uno stile intero di musica possa trasformare completamente la tua vita. Quel video inviato da una mia amica su Facebook è stato il mio "Sliding doors": e se non lo avessi mai aperto? E se non mi fossi soffermata ad ascoltare le richieste della mia amica e di cercare di capire quella che, all’epoca, era la sua di passione? Sarei comunque, in qualche modo, venuta a conoscenza di questo mondo che è la Corea? Chi lo sa. Meglio non pensarci. Alla fine è stato meglio così. Mi è stato chiesto di raccontare qui la Corea e il rapporto fra Corea e musica, quindi cercherò di adempiere a questo compito nel miglior modo possibile, prossimamente, parlando anche di aneddoti simpatici (e non) che fanno parte della cultura coreana, basandomi soprattutto sulla mia esperienza personale. Per il momento, quindi, ci salutiamo, ma vorrei lasciarvi con il titolo della canzone che è stata il fulcro di tutto, ovvero Bonamana dei Super Junior.
Un caro saluto e, come dicono i coreani, fighting!
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